Nel ‘palù de soravento buora’, ossia in quella parte della laguna di Grado che si trova più ad est, si trova l’isola di Barbana, che deve il suo nome all’eremita Barbano, che l’abitava ai tempi del Patriarca Elia, quando questi, nel VI secolo d.C. vi edificò un monastero, a seguito di un evento prodigioso che lo colpì.
Secondo la leggenda infatti, nell’anno 582, un’immagine della Vergine, miracolosamente galleggiante sulle acque, fu gettata da una burrasca sull’isola.
Probabile che il nome dell’isola derivi da ‘Barbanus’, derivato dalla famiglia dei Barbi, nome diffuso in Istria ed in Veneto, in epoca romana.
Dal 1237, secondo tradizione, si celebra annualmente il Perdon de Barbana, processione votiva nata per ringraziare il Signore per la liberazione da una grave pestilenza, con la partecipazione di almeno un membro di ogni famiglia gradese.
Processione celebrata dai pescatori il giorno di Pentecoste, fino alla fine della Serenissima, che poi fu spostata alla prima domenica di luglio.
La statua della Madonna, che si trova nella basilica di sant’Eufemia a Grado, veniva originariamente posta su una barca e trainata fino all’isola da sei ‘reburci’, oggi sostituiti da moderni pescherecci, in rappresentanza dei sei rioni della città.
Queste barche procedevano in direzione del santuario a forza di remi e, qualora il vento ne avesse impedito l’incedere, i pescatori scendevano nel fango ai lati del canale e le trainavano con delle corde.
Ogni 50 anni veniva fatto uno scambio, cioè dopo aver portato a Barbana la Madonna di Grado, si ritornava portando quella di Barbana per riportarla indietro al pomeriggio dello stesso giorno e ritornare a Grado con la statua della Madonna di Grado.
I preparativi a questa giornata di festa culminano nel ‘sabo grando’, ossia il sabato che precede di poche ore l’inzio della processione e durante la cui sera, alla fine della messa , vengono cantate le ‘Litanie Grande’.
Sull’isola, accanto al santuario edificato nel 1924, si possono apprezzare la chiesa, giunta ai giorni nostri dopo molte modifiche rispetto alla struttura originaria del VI secolo ed il monastero, anch’esso preservatosi con una certa attinenza al manufatto originario.
foto: Flavio Snidero